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La caduta degli dei: 110 anni di gloria cancellati dal Belgrano

La caduta degli dei: 110 anni di gloria cancellati dal Belgrano

© foto di Daniele Buffa/Image Sport
Nato a Roma il 02/08/1969, ha collaborato per numerose testate come Guerin Sportivo, Calcio 2000, Eurocalcio, Goal e alcuni quotidiani come Momento Sera, L'Umanità, Il Tempo, Corriere dello sport e sulle pagine romane de La Stampa.
 di Andrea Colacione   vedi letture

 

L’Argentina doveva essere in festa grazie all’imminente inizio della Coppa America ed invece è piombata in una sorta di dramma nazionale che coinvolge la maggior parte del paese ed una vasta massa di tifosi. E’ tutta colpa del River Plate e della sua clamorosa retrocessione. 1901-2011 queste sono le date della nascita e della provvisoria scomparsa-  speriamo breve - dal grande calcio del club più titolato d’Argentina.

Un club nato nel quartiere della Boca, quattro anni prima dello stesso Boca Juniors e fondato proprio come i giallo blu da emigranti genovesi (ben sei giocatori della prima formazione provenivano proprio dalla stessa Genova). Le testimonianze di così lontana memoria narrano che fu il socio fondatore Livio Ratto a scegliere il nome attuale nel momento della fusione tra il Rosales ed il Santa Rosa, prendendo spunto da alcune casse ammassate dagli inglesi dove c’era scritto “The River Plate”, traduzione in inglese del Rio de la Plata, il fiume che bagna Buenos Aires. In seguito il River trasferì la propria sede dapprima nel bairro Palermo, quartiere di immigrati italiani e poi definitivamente nel ricco quartiere di Nunez, a nord della città.

Nel 1932 il Presidente Antonio Vespucio Liberti a cui è intitolato lo stadio Monumental acquistò dal Tigre un certo Bernabè Ferreira per una cospicua somma che in parte venne pagata in oro; arrivarono anche altri grandi giocatori ed il River così acquisì il soprannome “de los Millonarios”. Ci fu dapprima l’epopea di Di Stefano e poi quella di Omar Sivori che in seguito presero la strada per l’Europa dopo che il primo era passato per il ricco campionato colombiano che all’epoca non era riconosciuto dalla Fifa. E furono proprio gli anni quaranta a dare inizio al mito della banda roja (la banda trasversale rossa che attraversa la maglia ufficiale su sfondo bianco). Il mito della Maquina visto che il River schierava il favoloso quintetto d’attacco formato da Munoz, Moreno, Pedernera, Labruna e Loustau, una sorta di antipasto del calcio totale che proporrà in seguito la grande Olanda. Il River oltre che con Genova ha un forte legame con il Torino calcio che non dimentica l’esibizione delle stelle “riverplatensi” avvenuta pochi giorni dopo la sciagurata tragedia di Superga. Un gemellaggio che perdura tuttora.

Dopo aver vinto cinque titoli su sei tra il 1952 ed il 1957, il club della “Gallina”, uno dei tanti soprannomi, cadde nell’anonimato per diciotto lunghissimi anni, prima di tornare a vincere nel 1975 sotto la guida tecnica di Angel Labruna. Era una squadra che annoverava fantastici campioni che tre, quattro anni dopo mi rubarono l’occhio e mi fecero giurare eterna fedeltà a questo club che insieme al Flamengo ed all’Aston Villa fanno parte da sempre del mio cuore. Mi innamorai dello stadio “Monumental”, dei “Los Borrachos del Tablòn”, cuore pulsante della tifoseria e di una serie di fuoriclasse che rimarranno scolpiti in eterno nella memoria di chi ha avuto la fortuna di vederli giocare. Gente come  Ubaldo “El Pato” Fillol, Reinaldo “Mostaza” Merlo, Mario Alberto Tarantini, Daniel Passarella, Emilio Commisso, Omar Labruna, Juan José Lopez, Josè Luìs Pavoni, Eduardo Saporiti, l’uruguagio Juan Ramòn Carrasco, Pedro Alexìs Gonzalez, Leopoldo Giacinto Luque, Oscar Ortiz, Carlos Daniel Tapia, Norberto “Beto” Alonso,  Juan Carlos Heredia, argentino naturalizzato spagnolo ed un giovanissimo Ramon Diaz furono i miei primi eroi, rappresentando degnissimamente i miei sogni di bambino, già profondamente innamorato del calcio sudamericano.

A quella fantastica squadra del Metropolitano 1980 si aggiunse ben presto un certo Mario Alberto Kempes, capocannoniere del mondiale 1978, vinto in casa sotto la dittatura del generale Videla e tra le polemiche per i sei goal incassati dal portiere peruviano Ramòn Quiroga nato in terra argentina. Non tutti festeggiarono perché a poche centinaia di metri c’era gente che veniva torturata e le madri che gridavano piangenti la restituzione dei propri figli desaparecidos. Il regime cercò di farsi bello e con la vittoria del Mundial cercò di distrarre la gente ed i mezzi di comunicazione da fatti ben più gravi che consegnarono alla storia le pagine più vergognose del paese. Poi ci fu la guerra delle isole Falklands/Malvinas con l’Inghilterra mentre nel frattempo il calcio mondiale celebrava a tutti gli effetti l’argentino Diego Armando Maradona che tuttora divide con Pelé il ruolo del più grande di sempre.

Nel frattempo nel quartier generale di Nunez approdò “El Principe” Enzo Luìs Francescoli per sostituire il Beto Alonso che si era trasferito al Vélez nel 1981, prima di far ritorno a casa dove chiuse la carriera nel 1987, risultando tuttora il quinto marcatore di sempre con 149 goal nonché settimo nella graduatoria di presenze. Salutato Francescoli che approda in Francia al Racing Matra Parigi che rincorreva un sogno mai iniziato, il River vinse la sua prima Coppa Libertadores sotto la presidenza di Hugo Santilli e la guida tecnica di Héctor Rodolfo “Bambino” Veira. Nel frattempo oltre al rientrante Beto Alonso i nuovi eroi erano i portieri Nery Pumpido e Sergio Goycochea, i difensori Oscar Ruggeri, Nelson “Tano” Gutierrèz (poi in Italia con Lazio e Verona), Jorge Borelli, Jorge Gordillo ed Alejandro Montenegro; i centrocampisti Roque Alfaro, Héctor Enrique (che vincerà il Mondiale ’86 in Messico), Américo “El Tolo”Gallego (già campione del mondo con l’Argentina nel 1978),Nestor Gorosito, l’uruguagio Mario Saralegui ed il giovane Pedro Antonio Troglio (vestirà in seguito le maglie di Lazio, Verona ed Ascoli) oltre agli attaccanti Antonio Alzamendi, Claudio Paul Caniggia (anche lui in Italia con Verona, Atalanta e Roma), Claudio Morresi, Ramòn Centuriòn e Juan Gilberto Funes che fu decisivo nel doppio confronto di finale contro l’America di Cali con due reti. Centravanti dalla notevole forza fisica e dal sinistro devastante, Funes perì in seguito nel 1992 a causa di un arresto cardiaco. Furono loro i protagonisti della Libertadores e dell’Intercontinentale vinta sempre in quel fantastico 1986 grazie ad un gol dell’uruguaiano Antonio Alzamendi contro la Steaua Bucarest.

Il River ha poi continuato a vincere ed a sfornare o quantomeno ad annoverare numerosi campioni, fuoriclasse o semplici ottimi giocatori come Juan Pablo Sorìn, Hernàn Crespo, Ariel Arnaldo Ortega (una carriera gettata al vento a causa dell’alcool), Marcelo Gallardo, Marcelo “El Matador” Salas, Jùlio Cruz, Pablito Aimar, Andrés D’Alessandro, Javier “El Conejo” Saviola, Leonardo Astrada, Celso e Roberto Ayala, Abél Balbo, Omar Batistuta, Fabian Basualdo, Fernando Belluschi, Roberto Bonano, Jùlio César Càceres, Esteban Cambiasso, Darìo Conca, Jorge e Ruben Da Silva, Martìn Demichelis, Matìas Delgado, Ernesto Farìas, Augusto Fernàndez, Gaston “La Gata” Fernandez, Radamel Falcào Garcia, Gonzalo Higuain (anche suo padre Jorge e suo fratello Federico hanno vestito la maglia della banda), Maxi Lòpez, Alejandro Martinuccio, Ismael Medina Bello, Javier Mascherano, Luìs “Lucho” Gonzàlez, Juàn Antonio Pizzi, Mauro Rosales, Marco Rubén, Alejandro Sabella, “El nino maravilla” Alexis Sànchez, José Serrizuela, Daniel Montenegro, Santiago Solari, Mario Yepes, Jùlio Zamora e Victor Zapata. Il River che in precedenza aveva annoverato anche gente del calibro di Bruno “El Petisso” Pesaola, Roberto Perfumo, Francisco Pedro Manuel Sà, José Varacka, Vladislao Cap, Renato Cesarini, Luìs Cubilla, Oscar Màs, Hugo De Leon, Angel Labruna, René Houseman, Hugo Orlando “El loco” Gatti, Leonardo Griffo e Ricardo Gareca ha umiliato tutti questi campioni che hanno griffato una leggenda di 110 anni riempiendo musei e biblioteche di trofei e di pagine indelebili

E’ bastato pochissimo per distruggere tutto ciò che è stato costruito in più di un secolo. L’oro ultracentenario è oggi ridotto in polvere. E’ andato tutto in fumo insieme ai numerosi cassonetti della spazzatura che la parte più estrema dell’hinchada ha bruciato al termine del match condanna contro il Belgrano, la squadra che verrà ricordata per sempre per aver mandato nella B nacional il club più titolato d’Argentina, nonché uno dei più titolati del Sudamerica e dell’intero globo terrestre. La favola si chiude almeno provvisoriamente con un bilancio di 33 titoli nazionali (17 Nacional, 4 Metropolitani, 6 Apertura e 6 Clausura), di 2 Libertadores, di 1 Coppa Intercontinentale, di 1 Coppa Interamericana e di 1 Supercoppa Sudamericana. Alla fine ha avuto ragione il “burrito” Andrés, l’asinello tifoso del Belgrano che aveva pronosticato il pareggio con la conseguente retrocessione della Banda.

E a fine match - come c’era da immaginarsi - è scoppiato il finimondo, dentro lo stadio Monumental, devastato dall’inferocito pubblico che ha assaltato il palco presidenziale creando attimi di sconvolgente terrore visto che vi erano presenti anche alcune donne dentro e fuori dallo stesso. Polizia a cavallo, blindati, pompieri ed una quantità impressionante di gas lacrimogeni al centro della scena. Il Ponte Labruna teatro della guerriglia, l’Avenida Monroe impossibile da attraversare, macchine contromano nell’Avenida Libertador, l’Avenida Figueroa Alcorta presieduta da un esercito di poliziotti per preservare l’incolumità di giocatori e staff tecnico all’uscita. La squadra rinchiusa per ore ed ore dentro con Ferrari (assente per squalifica) che è stato il primo ad uscire oltre due ore e mezzo dopo il termine del match concluso con qualche minuto d’anticipo a causa della più che preventivabile invasione.

Fuori - come dicevamo - l’inferno, con numerosi negozi letteralmente distrutti così come l’ingresso della scuola dove studiano tutti i ragazzi delle giovanili dei “Millo”. Alla fine il bilancio provvisorio al momento in cui scriviamo è di 72 feriti in gran parte poliziotti. Il River è retrocesso perché non ha programmato nulla e perché è stato amministrato in modo indegno, dapprima da Aguillar che negli otto anni di presidenza ha disintegrato tutto ciò che ha potuto toccare, facendo sparire soldi dalle casse societarie e poi da Daniel Alberto Passarella, ex leggenda da giocatore che ha completato l’opera. Ci chiediamo come può un club che ha venduto per anni ed anni tutte le sue stelle finire sull’orlo della bancarotta? Il River non paga gli stipendi al corpo tecnico ed ai giocatori da un anno e mezzo e quindi non ha potuto mettere sotto contratto un allenatore vero.

J.J.Lopez inizialmente lacrimante è poi diventato una statua di sale, consumando il quarto descenso (retrocessione) della sua carriera dopo quelli avvenuti con Instituto, Talleres e Uniòn. In campo una serie di comiche con Carrizo che si è fatto gol da solo contro il San Lorenzo, Lamela sempre più fumoso, gli attaccanti con le polveri bagnate e i difensori ridicoli perché "fuori di testa", basti vedere il mani dell’andata con il Belgrano di Romàn o il comicissimo scontro tra Juan Manuel Dìaz e Ferrero nel match di ritorno che ha causato il pareggio e scatenato l’inferno. Il River non ha programmato nulla: prima del match con il Lànus che doveva stabilire se il River si fosse salvato o se fosse andato a disputare la Promociòn con il Belgrano non era stato programmato né l’eventuale viaggio a Cordoba e né erano stati mandati osservatori a visionare le gare del “Pirata”.

La rosa del River è formata prevalentemente da ex calciatori o da giovani immaturi a questi livelli ma la retrocessione è figlia degli ultimi sei campionati e quindi degli ultimi tre anni disastrosi che hanno sancito un processo calcisticamente logico. Quando si fa così male è più che mai logico che le cose terminano nel peggiore dei modi. Ma la devastante crisi del River deve servire da monito per tutto il calcio argentino: un calcio che produce oro e diamanti ma che non sa conservare nulla; un calcio gestito da avventurieri che in molti casi pensano solo a riempirsi le tasche distruggendo i club ed i sogni dei rispettivi tifosi. Squadre che nel passato hanno scritto la storia del massimo campionato  oggi sono sprofondate nelle serie inferiori, in taluni casi molto inferiori. Il Tallerés ed il Racing di Cordoba, la stessa città del Belgrano che hanno conteso campionati alle big sono addirittura nell’Argentino A, la sesta divisione insieme all’Huracàn Tres Arroyos; il Nueva Chicago, il Platense ed il Deportivo Espanol sono in Primera B; l’Atlanta vincendo il campionato con 86 punti è risalita nel Nacional B (la seconda divisione) in cui militano l’Instituto, altra formazione cordobese, il Ferrocarril Oeste (campione d’Argentina nel 1984 con Héctor Cùper in campo come ruvido terzino), l’Atlético ed il San Martìn de Tucumàn e soprattutto il Rosario Central che nel 1980 giocava un calcio fantastico ed annoverava nel “Plantel” gente del calibro di Chazzarreta, Edgar Bauza, Felix Orte, Bacas, Marchetti , Gaitàn e soprattutto il mago Omar Arnaldo Palma.

Ora mentre l’Union di Santa Fé è appena risalita nella massima serie sono scesi l’Huracàn ma soprattutto il River Plate, la squadra più amata del paese nonché la più titolata, unica argentina ad essere salita nel gradino più alto del podio dell’istituto di statistiche che per un periodo l’ha incoronata come la numero uno dell’intero globo. Nel calcio argentino tutti possono vincere e tutti possono retrocedere, dipende da come gira la luna ai rispettivi  dirigenti ma così facendo si sta distruggendo un intero patrimonio e si sta umiliando chi ha costruito la storia e la leggenda a suon di sacrifici. Oggi l’unica società veramente seria è il Vélez che non ha bisogno di vendere, avendo i conti in ordine e i giocatori di proprietà, assoluta rarità da queste parti. E non è un caso che negli ultimi anni o vince o ci va molto vicino. E se pure dovesse partire qualche pezzo pregiato, perché pagato super profumatamente c’è un bel pescare nel settore giovanile.

Per il resto squadre come il San Lorenzo, il Newell’s e persino l’Independiente ed il Boca le uniche due a non essere mai retrocesse devono iniziare a preoccuparsi perché il Promedio inizia a piangere pesantemente e visto ciò che è accaduto al River tutto è ormai possibile nel folle mondo del calcio argentino. Dirigenti e tifosi dello stesso River nel frattempo hanno chiesto con urgenza le dimissioni al Presidente Passarella ma il Kaiser le ha rifiutate, affermando che lo sposteranno dalla poltrona solo con i piedi davanti e che ricostruirà il club in breve tempo. Ferrero se ne andrà in Messico, Jonatan Maidana tornerà in Ucraina, Carrizo tornerà alla Lazio, proprietaria del cartellino, seppur di passaggio, Pavone se ne è già andato ed il tanto reclamizzato Erik Lamela dovrà essere svenduto. L’unico nome degno, Matìas Almeyda, quasi certamente smetterà, questa volta per sempre e già si sussurra che potrebbe essere il nuovo tecnico della Banda Roja. Ma sarà dura ricominciare perché la B Nacional è un campionato molto lungo e molto duro ma soprattutto si dovrà ricominciare rinunciando ai soldi dei diritti tv e di molti sponsor che hanno chiesto la rescissione dei rispettivi contratti. Da domani torneremo a parlare di Coppa America, sperando che Messi e Neymar riescano a distrarci con le loro prodezze da cotanto orrore calcistico e da cotanta violenza che si sarebbe potuta evitare con un minimo di organizzazione e di buon senso.


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